Con le ordinanze n. 10065 e n. 9286 del 2025, la Corte di Cassazione ha riaffermato i principi essenziali per la validità della conciliazione in sede sindacale, prevista dall’art. 411 c.p.c.
In primo luogo, la conciliazione deve svolgersi in una sede fisica che garantisca la protezione e la neutralità necessarie a tutelare la libertà del lavoratore nella manifestazione della sua volontà. La sede aziendale, pur in presenza di un rappresentante sindacale, non soddisfa tale requisito, poiché esposta all’influenza del datore di lavoro.
La Corte ha ribadito che la sede indicata dal legislatore non può essere intesa in modo virtuale o sostituibile ma deve tassativamente essere riconosciuta come il luogo fisico-topografico in cui l’organizzazione sindacale ha la propria sede, escludendo, dunque, i locali aziendali.
In secondo luogo, affinché una conciliazione risulti inoppugnabile, è imprescindibile che l’assistenza sindacale sia effettiva. L’assistenza non può essere limitata ad una mera formalità; il lavoratore deve essere posto in condizione di comprendere in maniera consapevole i diritti a cui sta rinunciando e l’entità di tale rinuncia. In caso di transazione, deve risultare in modo chiaro l’oggetto della controversia e le reciproche concessioni, come previsto dall’art. 1965 c.c.
In mancanza di questi elementi di tutela, la conciliazione è considerata invalida, e il lavoratore ha diritto di impugnare l’accordo entro i termini di legge previsti per le rinunce relative a diritti inderogabili. La giurisprudenza, pertanto, conferma la centralità di una sede protetta e di un’assistenza sindacale concreta per garantire la piena validità dell’accordo conciliativo.