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Congedo parentale e licenziamento: la Cassazione sottolinea il confine tra abuso e urgenza familiare

Con la sentenza n. 6993 del 16 marzo 2025, la Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo il licenziamento di un dipendente che, durante il congedo parentale, aveva lasciato temporaneamente il figlio per occuparsi della madre, il cui stato di salute si era improvvisamente aggravato.

Il dipendente aveva impugnato il licenziamento, sostenendo che, durante i dieci giorni di congedo, si era recato all’estero per assistere la madre, mentre il figlio era rimasto in Italia con la moglie. La Corte d’Appello aveva ritenuto meritevole di pregio la sua posizione, contrariamente alla pronuncia del giudice di primo grado, ritenendo che tale comportamento fosse compatibile con le motivazioni assistenziali proprie del congedo parentale di cui all’art. 31 co.1 D. Lgs. 151/2001.

La decisione della Suprema Corte prende le mosse dall’analisi della figura giuridica dell’ «abuso di permesso», nel caso di specie posto a fondamento del licenziamento da parte del datore di lavoro, confermando la Cassazione l’orientamento diffusosi negli ultimi anni in seno alla giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimità.

Sul punto viene statuito che tale figura costituisce giusta causa di recesso solo qualora sul piano soggettivo sia rilevabile l’elemento intenzionale e non solo di fatto «sicché non esiste alcun automatismo tra la mancata prestazione di assistenza al minore e la figura dell’abuso essendo pure necessario valutare, oltre alla sua oggettiva durata, anche la motivazione per cui essa non sia avvenuta».

Tale orientamento si colloca nel solco della recente pronuncia della stessa Corte n. 1227/2025 che è intervenuta sulla limitrofa materia dei permessi ex L. n. 104/1992, esprimendo il medesimo principio.