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Vertenza per demansionamento avanzata a rapporto terminato e nell’impossibilità materiale di reintegra

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 26 giugno 2024, n. 17586, riconosce che l’interesse ad agire in una causa per demansionamento sussiste anche dopo la fine del rapporto di lavoro e, perfino, nel momento in cui la reintegra del dipendente sia divenuta impossibile.

Nel caso di specie, un dipendente, al termine del rapporto di lavoro, ha proposto ricorso giudiziale al fine di ottenere l’accertamento dell’illegittimità del mutamento di mansioni, richiedendo l’ordine alla società di reintegrarlo nelle mansioni di originaria adibizione.

Nelle more del giudizio, il ricorrente è però deceduto, e l’unico erede dello stesso si è costituito e ha proseguito la vertenza.

La Corte ha rilevato che, nel caso in cui l’attore abbia chiesto l’accertamento di un diritto e la conseguente condanna del convenuto ad un facere, la circostanza che, nel corso del giudizio, sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione non determina la cessazione della materia del contendere, perché non viene automaticamente meno l’interesse dell’attore all’accertamento del fatto controverso.

Applicando questo principio, si ricava che, nel caso in cui il dipendente abbia richiesto l’accertamento dell’illegittimità del mutamento delle mansioni e del conseguente diritto al ripristino di quelle in precedenza svolte, l’interesse ad ottenere la pronunzia permane anche dopo l’estinzione del rapporto di lavoro, nel momento in cui vi sia anche una pretesa di carattere risarcitorio.