La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 14 giugno 2024 n. 16639, ha riconosciuto il danno alla professionalità di una lavoratrice causato dal demansionamento e dallo svuotamento pressochè integrale delle mansioni.
Nel caso di specie, un’annunciatrice televisiva ha ottenuto il risarcimento del danno d’immagine e del danno biologico a seguito di un demansionamento; alla Società è stato inoltre intimato di reintegrare la lavoratrice nelle proprie mansioni, ovvero di assegnarla ad altre equivalenti.
La Corte ha rammentato che possono essere utilizzati diversi elementi presuntivi per accertare il danno, quali la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione.
Il rifiuto opposto dalla lavoratrice ad un’eventuale ricollocazione non esclude la responsabilità della Società, che ben avrebbe potuto (e dovuto) promuovere un’azione disciplinare nei suoi confronti per sanzionare tale rifiuto.