Con la sentenza n. 8707 del 2 aprile 2025, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa comminato a un lavoratore sorpreso, durante l’orario di servizio, in un bar. L’accertamento è avvenuto tramite l’analisi dei dati GPS installati sui mezzi di raccolta rifiuti in uso al dipendente, su incarico del datore di lavoro a un’agenzia investigativa.
Il lavoratore, già risultato soccombente in appello, ha proposto ricorso per Cassazione deducendo la violazione degli articoli 2, 3 e 4 della legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), in materia di controllo e sorveglianza dell’attività lavorativa.
La Suprema Corte ha precisato che, sebbene gli articoli 2 e 3 dello Statuto limitino l’intervento di soggetti terzi incaricati della tutela del patrimonio aziendale, ciò non impedisce al datore di lavoro di avvalersi di agenzie investigative, a condizione che queste non esercitino una vigilanza sistematica sull’attività lavorativa in sé, riservata esclusivamente al datore stesso o a suoi delegati. L’attività investigativa, infatti, deve essere finalizzata esclusivamente all’accertamento di condotte illecite estranee al mero inadempimento contrattuale (cfr. Cass. n. 9167/2003), e in particolare a comportamenti penalmente rilevanti o fraudolenti, idonei a ledere il patrimonio aziendale. In proposito, la Corte ha chiarito che il danno al patrimonio dell’impresa non si limita alla lesione dei beni materiali, ma include anche la compromissione della reputazione aziendale presso il pubblico.
Quanto all’utilizzo delle apparecchiature di controllo a distanza (nella specie, GPS), anch’esso oggetto di censura da parte del ricorrente ai sensi dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, la Corte ha ritenuto che tale forma di controllo fosse legittima, in quanto svolta in spazi pubblici e finalizzata all’accertamento di comportamenti illeciti del dipendente.
Infine, a sostegno della decisione, la Corte ha richiamato il principio secondo cui la mancata affissione del codice disciplinare non preclude l’esercizio del potere sanzionatorio nei casi in cui venga violato il c.d. «minimo etico», ovvero quando la condotta risulti manifestamente contraria ai doveri fondamentali del lavoratore.