In tema di straordinario nel lavoro pubblico, con l’ordinanza n. 4984 del 26 febbraio 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito che il lavoratore ha diritto al pagamento del lavoro straordinario se svolto con il consenso, anche tacito, del datore di lavoro precisando che la prova di tale prestazione può avvenire anche mediante testimonianze, senza necessità di documentazione ufficiale come tabulati dei cartellini marcatempo o registri di presenza firmati.
Il caso trae origine dal ricorso di un dipendente pubblico, il quale ha richiesto il riconoscimento di differenze retributive, inclusi compensi per 20 minuti di straordinario svolti quotidianamente.
La Corte d’Appello aveva accolto la sua domanda, ritenendo che dovessero essere computate non solo le ore di assistenza effettiva, ma anche il tempo dedicato ad attività accessorie, come l’acquisto di medicinali, e gli spostamenti per raggiungere il luogo di lavoro e farvi ritorno.
Nel confermare la pronuncia di merito, la Cassazione ha evidenziato che, anche nel lavoro pubblico, lo svolgimento di attività oltre l’orario ordinario genera il diritto al compenso straordinario ogni qual volta questo sia autorizzato (Cass. n. 2509/2017).
Sulla base di questi principi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dall’ente, confermando il diritto del lavoratore alla somma riconosciuta dalla Corte d’Appello a titolo di lavoro straordinario statuendo che: «il lavoratore ha diritto al pagamento della prestazione resa per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva ove sia eseguita con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro o di chi abbia il potere di conformare la relativa prestazione […] a prescindere dalla validità della richiesta o del rispetto dei limiti e della regole sulla spesa pubblica» in ossequio al principio sancito dall’art. 36 della Costituzione, che garantisce al lavoratore una retribuzione proporzionata e sufficiente.