La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 19 aprile 2024 n. 10640, ha ribadito l’indirizzo secondo cui lo “scarso rendimento”, quale indice di una prestazione inadeguata in termini quantitativi e qualitativi, costituisce un’ipotesi di recesso del datore per inosservanza degli obblighi contrattuali del prestatore, e dunque un licenziamento disciplinare.
Nel caso di specie, un lavoratore aveva contestato il licenziamento inflittogli per giustificato motivo oggettivo, a causa delle sue frequenti assenze per malattia, le quali avevano influito negativamente sull’organizzazione aziendale e sulla produzione del settore in cui era impiegato. La Corte d’Appello ha accolto il ricorso del lavoratore, dichiarando illegittimo il licenziamento in quanto avvenuto prima del superamento del periodo di comporto.
La Suprema Corte, confermando la decisione di merito, ha preliminarmente sottolineato che il licenziamento per “scarso rendimento” rappresenta un caso di recesso da parte del datore per grave inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore. Tuttavia, in un contratto di lavoro subordinato il dipendente non è tenuto a garantire il raggiungimento di un risultato specifico, bensì a mettere a disposizione del datore il proprio impegno e le proprie energie, secondo il canone della diligenza ex art. 2104 c.c.. Il mancato raggiungimento di un obiettivo non costituisce dunque, di per sé, un inadempimento.
Se però esistono parametri per valutare se la prestazione lavorativa è stata eseguita con la diligenza e professionalità medie richieste per le mansioni affidate, un significativo discostamento da tali standard può essere considerato un segnale di non corretta esecuzione della prestazione. In questi casi, può essere avviato un procedimento disciplinare che, in base alla gravità, può culminare in un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.
Secondo i giudici di legittimità, per poter legittimamente in licenziamento di un lavoratore per scarso rendimento, è necessaria la contemporanea sussistenza di due presupposti che, in caso di contestazione, devono essere dimostrati in giudizio dal datore di lavoro: