Con l’ordinanza n. 8152/2025, la Corte di Cassazione ha ribadito il diritto del lavoratore al rimborso delle spese sostenute per la pulizia dei dispositivi di protezione individuale (DPI) forniti dal datore di lavoro.
Il caso origina da un ricorso diretto a ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, presentato da alcuni lavoratori, addetti al servizio di nettezza urbana ed extraurbana e obbligati a indossare durante l’esecuzione della prestazione divise considerate DPI.
La Suprema Corte richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 10378/2023, Cass. n. 16749/2019), secondo il quale, in tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, la nozione legale di Dispositivi di Protezione Individuale non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute, ma deve essere estesa a qualsiasi complemento o accessorio che possa concretamente costituire una barriera protettiva contro i rischi per la sicurezza e la salute del lavoratore.
Di conseguenza, si configura a carico del datore di lavoro l’obbligo di fornire e mantenere in stato di efficienza gli indumenti da lavoro che rientrano nella categoria dei DPI. Ne deriva che, ad avviso della Corte, i lavoratori hanno diritto al rimborso delle spese sostenute per la pulizia di tali indumenti.
La Corte precisa inoltre che, per «indumenti di lavoro specifici», si intendono le divise o gli abiti destinati a tutelare l’integrità fisica del lavoratore, nonché gli altri indumenti necessari per particolari funzioni, finalizzati a eliminare o quantomeno ridurre i rischi connessi, o a migliorare le condizioni igieniche del lavoratore durante l’espletamento dei suoi compiti.