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Diritto di critica del lavoratore: limiti e conseguenze

Con la sentenza n. 5331/2025, la Corte di Cassazione, nel solco dei principi già affermati, ha riconosciuto la tutela del diritto di critica del lavoratore quale espressione della libertà di manifestazione del pensiero, garantita dagli artt. 21 Cost., 10 CEDU e 1 dello Statuto dei lavoratori.

La vicenda riguardava un lavoratore licenziato per aver attribuito all’azienda un punteggio di una stella su cinque commentando, su una piattaforma di recensioni online, «…perdete ogni speranza…». La Corte d’Appello di Ancona aveva ritenuto la condotta, consistente in una «consapevole e volontaria denigrazione dell’azienda» lesiva della reputazione aziendale e sufficiente a elidere il vincolo fiduciario e a rendere proporzionata la massima sanzione ancorché legittimata dal CCNL Metalmeccanica Industria, applicato in azienda, che prevede tale sanzione in tutti in casi in cui si rechi «grave nocumento» all’azienda.

La Cassazione, tuttavia, ha valorizzato il principio secondo cui la critica può legittimamente assumere toni disillusi o polemici sebbene idonei ad incidere, sia pure in modo minimo, sulla reputazione altrui. La giurisprudenza, sul tema, ha già riconosciuto i limiti dell’esercizio del diritto di critica nella continenza formale e sostanziale, legati rispettivamente alla correttezza e misura del linguaggio adoperato e alla veridicità dei fatti che vanno verificati nel caso concreto (Cass. n. 21362/2013, Cass n. 5523/2016, Cass. 18176/2018).

Secondo la Corte deve comunque considerarsi legittimo l’esercizio di critica del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, laddove il primo si sia limitato a difendere la propria posizione soggettiva senza travalicare, con dolo e colpa grave, la soglia del rispetto della verità oggettiva.

Per le motivazioni qui esposte, accompagnate da un’aspra critica metodologica alla Corte di merito, la Suprema corte ha dunque giudicato illegittimo il licenziamento in questione.