Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione confermava quanto statuito nei precedenti gradi di giudizio, i quali avevano dichiarato l’illegittimità del licenziamento di un lavoratore, comminato dalla società in seguito ad una contestazione disciplinare basata su dati raccolti tramite i dati raccolti mediante l’utilizzo del Telepass.
Nel caso di specie, nei confronti del lavoratore venivano rilevate una serie di mancanze commesse nelle giornate lavorative desunte grazie all’utilizzo dei dati raccolti tramite lo strumento. La Corte ricordava che nel caso i controlli siano posti in essere dal datore di lavoro e finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o volti ad evitare comportamenti illeciti, questi debbano avvenire in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito. Gli Ermellini ritenevano che non emergesse né dal ricorso né dalla sentenza impugnata, che la società avesse allegato che l’installazione del Telepass rientrasse tra i c.d. controlli difensivi nei termini sopra chiariti, e tantomeno che la stessa avesse allegato e chiesto di provare le specifiche circostanze che l’avevano indotta ad attivare quel controllo tecnologico.
Infine, né dalle informazioni rilasciate al lavoratore, relative all’utilizzo dello strumento, né dalla normativa sulla privacy trasmessa, emergeva alcun riferimento al Telepass sistemato sull’autovettura concessa in dotazione. Ne consegue dunque che l’inutilizzabilità dei dati attinti attraverso tale apparecchio discende dal non aver assolto all’obbligo di adeguata informazione del lavoratore sancito all’interno dell’art. 4, comma 3, L. n. 300/1970.